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Biografia di Lord John Emerich Dalberg Acton |
Statista - Economista
Mezzo secolo fa, nella prima e più articolata biografia intellettuale di Lord Acton, Gertrude Himmelfarb scriveva che «egli fa parte del suo tempo, più di quel che ha scritto, ma è, ancora, uno dei nostri grandi contemporanei». Oggi, la stessa biografa, considerando il clima intellettuale e in particolare la cultura politica, non rivendica più per Acton nessuna "attualità", anzi, egli, che era fuori dai canoni dei suoi tempi, ancor di più lo è rispetto ai nostri. Che abbia ragione oppure torto, la visione di Acton possiede tuttavia la più potente lente attraverso la quale si possono leggere gli ultimi giorni del nostro secolo, in cui l'evento politico più cospicuo è stato senz'altro l'ascesa e la caduta del totalitarismo secolarizzato. Il manifesto fallimento dello statalismo dimostra l'esigenza di una nuova prospettiva che integri un rinnovato apprezzamento della dignità della persona umana nella vita politica, con uno spazio crescente per i motivi trascendenti che danno senso alla nostra esistenza; questi sono temi che hanno trovato spazio negli scritti di alcuni grandi pensatori contemporanei, come Giovanni Paolo II.
I contemporanei di Acton potranno averlo ritenuto brillante ma eccentrico, e potranno aver creduto che il suo entusiasmo per una fede vigorosa e per un ideale libertario fosse la bizzarria di uno studioso solitario. La sua visione della società libera sarà parsa a loro come qualcosa di già realizzato, dato per scontato, e i suoi oscuri presentimenti riguardo ai danni delle ideologie dispotiche saranno sembrate premonizioni senza senso. Erano, infatti, gli anni dell'Inghilterra vittoriana, tempi di prosperità e di una relativa stabilità politica: le depressioni, le guerre mondiali e la pianificazione economica erano sconosciute in quel periodo; la prima rivoluzione socialista e la nascita del fascismo erano lontane decadi; gli Stati non possedevano armi di distruzione di massa come noi le conosciamo oggi e non c'erano gulag, né migrazioni forzate; il libero scambio e la cooperazione internazionale erano la norma, e le antiche famiglie d'Europa e d'America erano le forze trainanti della diplomazia; anche se le antiche monarchie e la commistione tra Chiesa e stato apparivano in difficoltà, tuttavia non c'era la consapevolezza che di lì a poco si sarebbero spente in modo tutt'altro che pacifico.
A differenza dei suoi contemporanei, Acton vedeva nei suoi tempi i germi del totalitarismo e intuiva quale pericolo le ideologie dispotiche avrebbero rappresentato per l'ideale della libertà. A tal ragione, cercò di sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore della libertà, suggerendo di considerarla nella nuova accezione di contrappeso alla minaccia che avvertiva intorno a lui. Oggi, il suo approccio alla comprensione della storia, della cultura, della politica e degli sviluppi sociali svetta come esemplare e profetico, e il suo amore per la libertà unita alla fede, ben lontano dall'essere una bizza, ha ancora qualcosa da dire ai nostri tempi, a ogni livello di analisi. E ancor di più, il suo pensiero sembra offrire una soluzione ai conflitti e un orientamento verso un ideale concreto all'interno del quale possano prosperare tanto la libertà quanto la verità. Ammettendo il giudizio della Himmelfarb che i nostri tempi escluderebbero il pensiero di Acton, ha ragione certamente Rufus Fears quando scrive che «la sua potente, originale analisi della natura della libertà individuale e politica e di quelle forze che rafforzano o mettono in pericolo la libertà, ha qualcosa da dire sui problemi più complessi della fine del Ventesimo secolo».
L'uomo e la sua opera
Lord Acton (1834-1902) nacque John Emerich Edward Dalberg-Acton, battezzato, cattolico, di famiglia aristocratica, con importanti lasciti nella storia europea da parte di entrambi i rami. Nato in Italia, cresciuto in Germania, allievo prediletto di uno dei più importanti teologi tedeschi, Ignaz von Döllinger, era un uomo d'incredibile erudizione, vista la sua immensa biblioteca, impreziosita da manoscritti estremamente rari; era naturalmente portato per le lingue: non solo conosceva il latino e il greco, ma parlava inglese con i suoi figli, tedesco con sua moglie, francese con la cognata e italiano con la suocera.
Non ebbe mai una posizione accademica se non negli ultimi anni della sua vita (quando fu nominato Regius Professor of Modern History a Cambridge) e non ha mai completato un trattato sistematico, malgrado l'ambizione della sua vita fosse scrivere una Storia della libertà (non vi riuscì). Anche come esponente politico non esercitò mai un potere reale, tuttavia, attraverso la sua vita, le sue lettere e le sue lezioni, esercitò un'incredibile influenza su alcuni dei più grandi intellettuali e statisti della sua epoca. Invero, si dice che abbia letto tutto ciò che meritava essere letto e che conoscesse tutto ciò che meritava essere conosciuto . Lasciò il segno attraverso innumerevoli progetti storici accademici e giornalistici, incluso il Cambridge Modern History del quale fu il curatore. I suoi saggi coprirono un'enorme gamma di argomenti: la storia della persecuzione in nome della religione, la storia del papato, la nascita e la fine dell'Impero messicano, la storia americana, la storia del sacrificio umano e tantissimi altri ampi saggi. La sua History of the World in 100 Names, scritta unicamente in un diario privato, è un capolavoro mascherato da fantasia . È stato criticato per aver introdotto in Inghilterra il metodo storico scientifico tedesco, influenzando una generazione di pensatori , fu pioniere in un campo che oggi noi diamo per scontato: la storia delle idee. Egli appare nel suo metodo sia rigorosamente scientifico e oggettivo sia estremamente preoccupato ad introdurre giudizi morali che consentano la relazione con il soggetto del quale stava trattando. È proprio questo il punto nel quale egli sperava di esercitare la sua massima influenza, ma anche in cui egli avrebbe incontrato il più grande fallimento.
In politica fu uno dei più ascoltati consiglieri di William Gladstone e contribuì in vario modo alle sorti del Partito liberale inglese del XIX secolo. Tenne alta la fiaccola della libertà, sia in ambienti ecclesiastici sia nei circoli politici, incurante del fuoco incrociato dei suoi nemici. Fu nel contempo un cattolico devoto, che non dubitò mai delle verità della fede, e un liberale sincero che si batté con ardore per la libertà di coscienza (la voce della religione, non il suo sostituto) e per il diritto di ciascuno di scegliere il proprio dovere al di là di ogni imposizione politica. Egli aveva cominciato la sua carriera su posizioni simili a quelle di Edmund Burke, ma ben presto s'era allontanato dal conservatorismo inglese, approdando su posizioni più radicali. Gli calza a pennello quanto detto una volta da Russel Kirk: “alcuni di noi tendono a essere più moderati in gioventù che una volta cresciuti”.
L'ossessione della libertà, la cristianità e l'America
D'altro lato, possiamo osservare, senza diminuire l'interesse per i primi suoi scritti, che sono state le opere dell'ultimo Acton quelle che hanno fornito il contributo più importante e profetico alla storia delle idee, contributo che tenta di combinare una vibrante lode alla libertà con un devoto attaccamento agli ideali religiosi e morali, per questo siamo certi che il pensiero di Lord Acton resiste facilmente alle tossine dei tempi e delle contingenze. Egli non ha formulato alcun progetto di società ideale, non è stato neppure un ideologo che ha speso la sua vita speculando su di un'unica proposizione su Dio o sull'uomo: durante tutta la vita, i suoi interessi sono andati in più direzioni e il tentativo di applicare le convinzioni cattoliche alla politica e all'economia non furono sempre costanti. Una volta disse: «non chiedetemi mai che cosa ho detto o che cosa ho scritto, ma se mi chiederete che cosa attualmente penso vi risponderò». Nello stimare la sua opera non siamo tenuti ad accettare tutti i suoi giudizi, piuttosto siamo invitati a studiare la sua prospettiva così vasta e la storia del pensiero che ci ha presentato, con la speranza di poter esaminare i problemi contingenti da un punto di vista inedito.
La lettura di Acton non è agevole, ma il premio è incommensurabile: il lettore è stupito dalla sua comprensione e dalla rettitudine della sua prospettiva; di Acton si può dire che non è mai stato scritto nulla su di lui che fosse tanto ricco e complesso quanto Acton stesso. Invero, scrivendo di lui, è difficile resistere alla tentazione di non utilizzare le sue stesse parole, citarlo per la sua conoscenza, la sia saggezza e la sua eloquenza che ci appaiono inesauribili. Se c'è un elemento dominante in Acton è il suo impegno per il cattolicesimo liberale; pressoché unico nel suo tempo, esso rappresenta il suo lascito più importante e può essere riassunto con quanto segue: "la libertà è il fine politico più alto" e l'esercizio dei propri doveri verso Dio e verso gli altri è il più alto fine della fede . Per quanto riguarda il mondo fisico, che sta a metà fra queste due forze, Acton ha scritto che «nessun Paese può essere libero senza religione. Essa crea e rafforza il concetto di dovere; se non contribuisce l'idea di un dovere morale a mantenere un ordine fra gli uomini, sarà la paura a farlo».
Acton credeva che le ragioni e il più alto fine dell'ordine politico fossero la salvaguardia della sacralità della vita umana e la libertà dell'individuo, che ha descritto come “l'assicurazione che ogni uomo potrà essere protetto nel fare ciò che ritiene sia il suo dovere contro l'influenza dell'autorità e delle maggioranze, del costume e dell'opinione pubblica”; per questo motivo, il pericolo di gran lunga peggiore per la libertà è rappresentato dallo Stato “che ritiene di poter tracciare la linea di demarcazione fra bene e male, facendo affidamento sulla sua sola esperienza”. La libertà invece è «il frutto delicato di una civilizzazione matura: in ogni epoca, il suo progresso è stato ostacolato dai suoi nemici naturali, l'ignoranza e la superstizione, dalla sete di conquista e dall'amore per le cose facili, dal fatto che l'uomo forte agognasse il potere, dal fatto che il povero brigasse per il cibo. Durante lunghi intervalli il cammino della libertà s'è drammaticamente arrestato [...]. E in tutti i tempi gli amici sinceri della libertà sono stati rari».
A differenza di molti filosofi di oggi, fedele alle sue convinzioni liberali, Acton rintracciava nell'avvento della cristianità la molla scatenante per l'affermazione della ricerca della libertà come tema centrale della cultura occidentale. Egli scrisse: "Gli antichi compresero la regolamentazione del potere meglio della regolamentazione della libertà"; ed ancora: "Concentrarono così tante prerogative in modo da non lasciare appigli in virtù dei quali un uomo potesse negare la sua giurisdizione o limitare la sua attività" Nel mondo antico stato e religione erano una cosa sola: la moralità era indistinguibile dalla religione e la politica dalla morale; religione, moralità e politica erano accomunate da un unico legislatore e da un'unica autorità. Lo stato, mentre incresciosamente faceva poco o nulla per la formazione, per la scienza, per i poveri e i bisognosi d'aiuto o per i bisogni spirituali dell'uomo, nondimeno rivendicava l'esercizio di tutte le sue facoltà e la determinazione di tutti i suoi doveri […] Nella misura in cui lo schiavo era nelle mani del suo padrone, il cittadino lo era in quelle della comunità". A causa di ciò il mondo antico scomparve dopo aver "distrutto gli elementi vitali sui quali poggia la ricchezza delle nazioni" . La crescita, l'infinita espansione dello stato e la sua invasione in ogni aspetto della vita ci hanno condotto verso la morte della libertà, della ricchezza e della stessa civiltà.
Dalla nuova rivelazione che giunge dalla Galilea, proviene l'idea che la società e la fede dei suoi membri non sono un tutt'uno con lo stato. Gesù di Nazareth disse: "rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", parole che in definitiva chiariscono come le istituzioni siano distinte e non confuse. Quest'idea fu osteggiata da quei suoi discepoli che vedevano in lui un potente rivoluzionario, così come scandalizzò i capi religiosi, i quali sostenevano che il potere civile non apparteneva alla sfera politica e che quest'ultima non lo avrebbe dovuto controllare, in quanto l'idea universale della coscienza religiosa individuale appartiene a Dio, dato che lo stato non ha generato l'idea della dignità della persona umana. Essa non rappresenta altro che, scrive Acton, "il ripudio dell'assolutismo e l'esordio della libertà".
«Nostro Signore non ci ha dato soltanto i precetti [egli scrisse], ma ha creato anche la forza per eseguirli. Sostenere l'assoluta immunità di una sfera suprema, ridurre tutta l'autorità politica all'interno di limiti definiti, cessa di essere un'aspirazione di chi ragiona pazientemente e attribuisce all'istituzione e all'associazione più energiche ed universali del mondo una cura ed una responsabilità eterne. La nuova legge, il nuovo spirito, la nuova autorità hanno dato alla libertà un significato nuovo ed un valore che non possedeva nella filosofia e nella costituzione greca o romana, prima della conoscenza della verità che ci rende liberi».
Per Acton, ad ogni modo, ci vorranno molti secoli di sviluppo intellettuale e politico prima che si giunga alla realizzazione delle rette convinzioni morali che sostengono l'ideale liberale. Ma ancora più importanti delle stesse convinzioni morali è stata la divisione dei poteri, frutto di quelle convinzioni: la Chiesa sentinella dei principi religiosi, la coscienza guardiana dell'istanza etica, lo stato limitato nei suoi poteri, lo sviluppo spontaneo della cultura, baluardo contro gli sconfinamenti del potere. Tutte queste istituzioni operano insieme per rendere possibile la realtà vivente della libertà. L'accento cristiano sulla dignità umana come etica universale non consente eccezioni, tanto meno per lo stato.
Anche in posizione di comando, i cristiani hanno impresso nel mondo il segno della loro resistenza al potere e persino Costantino non se ne rese conto, poiché "nessuno lo mise all'erta che, promuovendo la religione cristiana, si stava legando una mano". La nozione formale di distinzione tra Chiesa e stato per limitare in modo più rigido l'ambito dell'applicazione della legge e, ancor più importante, per salvaguardare l'integrità della fede dalla corruzione che proviene dalla concentrazione del potere, giunse più tardi, ma l'idea che le società devono distinguere la moralità dalla politica e che l'autorità sociale deve essere distribuita tra i tanti settori della società era implicita nella fede cristiana.
Per Acton un altro grande contributo fornito da questa nuova fede, elaborato dalla Scolastica, è stato la legittimazione del diritto alla rivoluzione politica: egli era convinto di poter affermare che la libertà e il diritto alla rivoluzione fossero termini contigui ("Il peggio per i governi è che durino troppo a lungo"). Certamente per Acton nei primissimi tempi, il principio fondamentale del cristianesimo fu che lo stato non potesse disporre di un potere illimitato; la minaccia della rivoluzione, piuttosto che la costante pratica rivoluzionaria, ha rappresentato nel campo sociale un deterrente contro il rischio che lo stato oltrepassi i propri confini. Il più grande lascito del cristianesimo è stato di individuare nella coscienza religiosa lo strumento più efficace per il controllo del potere.
Dal punto di vista della storia politica, il culmine di questo processo si ha con la rivoluzione americana. Sin dai suoi primi viaggi in America , passando per i diari tenuti durante la guerra civile, Acton è arrivato ad ammirare l'originalità del federalismo americano come il più efficace sistema di protezione della libertà dallo Stato Massimo. Non solo approvava le ragioni della rivoluzione, pur essendo inglese, ma riconosceva a pensatori come Thomas Jefferson, Alexander Hamilton, Daniel Webster e John C. Calhoun di essere "più validi" di parecchi pensatori europei . In compagnia di tanti opinionisti inglesi, ma diversamente da John Cobin e Richard Bright, egli sostenne la causa del sud secessionista contro quel nord che vedeva come un esempio di centralismo incipiente. Il generale Robert E. Lee scrisse ad Acton: “Come cittadino del sud, mi sento fortemente in debito con lei per la simpatia che ha mostrato per la nostra causa”. Vi erano molte ragioni per la scelta di Acton, ma su tutte la più importante era la paura che il nuovo Stato, una volta centralizzato e consolidato, avrebbe tradito i principi di libertà che animavano originariamente l'ideale americano. Non solo. Egli, per primo, temeva quelle ambizioni militari che avrebbero portato alla nascita di un nuovo impero, stavolta a stelle e strisce: "Sarà impossibile in tempo di pace placare il potere dittatoriale che questa guerra ha conferito al presidente".
Contro il potere
Il Potere è stato la bête-noire contro cui Acton ha combattuto per la durata di tutta la sua vita. "La storia non è una ragnatela tessuta da mani innocenti" (scrisse) "fra tutte le cause che degradano e de-moralizzano gli uomini, il Potere è la più costante e attiva". "Il Potere dispotico è stato sempre accompagnato dalla corruzione della moralità". "Il Potere corrompe e il Potere assoluto corrompe assolutamente. I grandi uomini sono quasi sempre uomini cattivi". Sempre nell'opera actoniana l'antidoto alla concentrazione e all'abuso di potere è data dal diffonderlo, dal decentralizzarlo, dal confrontarlo con la pubblica opinione e dal combatterlo con l'arma più potente mai forgiata contro il dispotismo: la fede religiosa.
Il Potere può apparire in molte forme: lo Stato è soltanto la più cospicua e nefasta fonte del suo abuso. Egli denunciò il potere privato, quando esso apparve nella forma della schiavitù o di sistemi religiosi che negavano i diritti della coscienza. Su queste basi, si batté con passione contro i poteri temporali della Chiesa e ciò che vedeva come l'accumulazione di esagerate pretese da parte del Papato. Ad ogni modo, a tal riguardo egli accentuò eccessivamente i suoi timori, e sebbene l'aver esteso la sua retorica contro il Vaticano avesse contribuito inconsapevolmente al relativo rafforzamento dell'opinione anticlericale e statalista del suo tempo, nessuno ha mai dubitato della sua sincerità.
Fu il più sincero e profetico fra i nemici del nazionalismo e del razzismo di tutto il Diciannovesimo secolo. Con il suo rintracciare in queste due patologie sociali i germi di un potere illimitato, fu uno dei pochi ad avvertire sin dai suoi tempi quei pericoli con cui l'Europa avrebbe fatto i conti nelle due guerre mondiali. Per Acton, il nazionalismo, inteso nel senso di un'identità di gruppo organizzato secondo linee geografiche o storiche, non è da deprecarsi in sé: il pericolo arriva quando questo sentimento viene usato dal Potere per organizzare il monopolio della violenza in una società. Durante le cosiddette "unificazioni nazionali", i sudditi di un governo vengono costretti a trasferire le proprie competenze a un'autorità verso la quale non hanno alcun attaccamento né naturale né storico. Questo fenomeno necessita di una manipolazione artificiale dell'opinione pubblica e dell'invenzione dell'ideologia nazionalista e razzista come copertura per l'espansione del Potere. Il nazionalismo, egli scrisse, “non mira contemporaneamente alla libertà e alla prosperità, sacrifica entrambe all'imperativo assoluto di fare della nazione il modello e la misura dello stato”.
Ma Acton non biasimò solamente l'immoralità di alcune dottrine politiche: quello che attaccava era il tentativo di dirigere lo Stato verso un singolo, ben definito obiettivo, come l'unificazione di una nazione, o l'esclusione delle minoranze o i vantaggi di una particolare classe sociale, la salvaguardia di un paese o del potere, la massima felicità per il maggior numero di persone o qualsiasi altra idea speculativa non radicata nella fede autentica. L'articolazione della critica negativa allo stato conduce Acton ad una prospettiva positiva: "La libertà necessita per la sua realizzazione della limitazione dell'autorità pubblica, dal momento che essa è l'unico fine che si avvantaggia del tutto".
Egli ci mise anzitempo in guardia, sostenendo che l'eliminazione della proprietà privata avrebbe portato alla tirannia, e non c'è sistema che tenda a imporre il potere come una prigione permanente per la società tanto quanto il socialismo: «Il Diciannovesimo secolo ha visto la crescita del peggior nemico che la libertà abbia mai incontrato: il socialismo […]. Esso può essere realizzato attraverso un tremendo dispotismo […] è il peggiore dei nemici della libertà, perché, se potesse realizzare quanto promette, renderebbe un simile servizio al mondo che gli interessi della libertà sbiadirebbero e l'umanità sarebbe allontanata dall'alleanza con il suo benefattore».
Ciò che rende estremamente interessante la posizione di Acton sono i suoi argomenti: egli non sosteneva che il socialismo non avrebbe mai potuto funzionare, semmai che se l'avesse fatto, esso avrebbe definitivamente spazzato via la libertà individuale. E di questo Acton si rese conto prima dell'avvento del comunismo in Russia, del socialismo in Inghilterra, del fascismo in Italia, del nazismo in Germania o del New Deal in America cioè di tutte le varie forme di socialismo.
E tuttavia non è solo lo "Stato totalitario" che dobbiamo temere e prevenire: gli amici della libertà debbono opporsi anche a quello che oggi viene chiamato "lo Stato interventista", il governo che gioca con la burocrazia. «Non ha senso la pretesa in base alla quale, con l'obiettivo di mantenere l'equilibrio fra domanda e produzione, dobbiamo impiegare un esercito di amministratori e supervisori, il cui compito dovrebbe essere quello di prescrivere cosa ogni produttore dovrebbe fornire e, di conseguenza, di quanto ciascun consumatore dovrebbe godere». Il suo buon amico Richard Simpson scrisse così, esprimendo sentimenti che Acton condivideva: «la burocrazia è senza dubbio l'arma e il tratto distintivo di un governo autoritario, in quanto consegna al governo che essa serve il potere del dispotismo».
La severa prova del nove che Acton propone per tutti i sistemi politici dovrebbe essere ricercata nel loro modo di considerare il soggetto: la vita umana. È mai giustificabile l'omicidio? Lord Acton assunse questa domanda come assiomatica, nel senso che i diritti devono essere universalmente rispettati e che non è ammessa nessuna eccezione per persone estranee al nostro raggruppamento religioso. In prima istanza, egli giudicava tutte le filosofie politiche e i sistemi a partire da questo livello, poiché non può esserci giustificazione per l'ingiustizia contro la vita umana. E proprio su questioni specifiche, che la prospettiva politica di Lord Acton ha avuto maggiori punti in comune con quella che oggi è chiamata la tradizione neo-liberale. In aggiunta a questa prospettiva, Acton è stato un difensore della pace, poiché "guerre di conquista ed espansioni ai miei occhi non sono letteralmente migliori dell'omicidio". Inoltre, egli difese il libero scambio come mezzo per assicurare la pace e "migliorare la condizione delle persone ed educarle alla libertà".
Acton era favorevole alla libertà di educazione, o a quella che oggi viene chiamata distinzione tra scuola e stato: «Per secoli nessuno ha creduto che l'educazione fosse una funzione dello stato, e lo stato non ha mai tentato di educare; ma con il sorgere del moderno assolutismo, lo stato ha rivendicato ogni cosa in nome del potere sovrano». Ed ancora, l'educazione è soltanto una sfaccettatura della società civile che è stata assorbita: «Commercio, industria, letteratura e religione erano dichiarate tutte di competenza dello stato, e di conseguenza, erano controllate [...]. Quando la teoria rivoluzionaria del governo cominciò a prevalere, e la Chiesa e lo stato intuirono che stavano educando per fini contrapposti, animati da uno spirito contrario, divenne necessario sottrarre del tutto i bambini all'influsso della religione”.
Ad ogni modo, sarebbe un errore identificare il pensiero di Acton con le idee dei liberali manchesteriani dei suoi tempi o di coloro che tra gli "economisti neoclassici" continuano oggi la loro tradizione filosofica. Sebbene difensore del commercio e della proprietà privata, Acton non si è mai definito un difensore del capitalismo del laissez-faire. Nei suoi primi scritti attaccò lo stato assistenziale, ma più tardi nel corso della sua vita appoggiò Gladstone che proponeva misure limitate di intervento statale : "Non c'è libertà dove c'è fame".
La particolarità delle sue riflessioni sull'azione politica, la parte più consistente del suo disaccordo con i difensori del laissez-faire, ad ogni modo, era di natura filosofica. Egli considerava i liberali inglesi della Scuola di Manchester come dei materialisti i quali credevano che il primo fine della politica non fosse la libertà in quanto tale ma la ricchezza. «La libertà non è il loro oggetto, ma il loro pretesto […] sono a favore della libertà civile soltanto come un mezzo per il raggiungimento di un fine; preferiscono il dispotismo, se, per mezzo del sacrificio di tutti gli altri diritti, possono essere assicurati quelli dell'industria»; cita al riguardo il sostegno che Richard Cobden diede al dispotismo di Napoleone III. Egli temeva che i manchesteriani non avessero avuto remora a sacrificare la moralità per la causa di un più elevato standard di vita materiale: «L'economia politica non può essere l'arbitro supremo in politica. Si potrebbe giungere a difendere la schiavitù lì dove essa è economicamente conveniente e rigettarla lì dove l'argomento economico depone contro di essa» . Questa è una seria critica, una critica che la tradizione continentale della teoria economica (e più tardi la tradizione austriaca di Carl Menger, e F. A. von Hayek) tende a condividere ("L'Austria è il solo stato continentale per il quale provo simpatia", scrisse Acton in una corrispondenza con Richaerd Simpson ). Invero, un aspetto poco apprezzato della critica di lord Acton al laissez-faire è che egli si è rivolto più direttamente alla Scuola inglese, riservando scarsa attenzione alle loro politiche e alla filosofia che le sottende. Egli riservò osservazioni più favorevoli alla scuola di A. R. J. Turgot e dei fisiocratici, che erano stati persino più radicali nella loro critica all'interventismo statale. Con questo giudizio, il punto di vista di Acton fa presagire il pensiero sociale presente nelle encicliche di Giovanni Paolo II (per esempio la Centesimus annus).
Il liberalismo religioso di Acton appartiene ad un liberalismo diverso rispetto a quello più diffuso nei giorni nostri. Egli credeva che la fede religiosa non dovesse temere la scienza o la modernità e si oppose ad ogni tentativo di soppiantare la tradizione, la prassi e la coscienza con il mero esercizio dell'autorità; protestò, inoltre, contro il significato della dichiarazione del Concilio Vaticano I sull'infallibilità del papa, anche se scrisse: "Sono sicuro di non aver mai sollevato in vita mia la pur minima ombra o dubbio su un dogma della Chiesa cattolica" . Sulla prospettiva di separarsi dalla Chiesa, egli stesso afferma che "La Chiesa dopo tutto è lo strumento offerto da Dio per la salvezza" . Inoltre, non ci sono le basi per credere, come ha affermato la Himmelfarb, che egli meditò la costituzione di una Chiesa nazionale indipendente da Roma . Acton confidava nel fatto che la dottrina e la morale della fede sarebbero sopravvissute e si sarebbero sviluppate meglio all'interno di un ambiente ecclesiastico nel quale la domanda di collegialità precedesse quella di unità. Per questo motivo, temeva che il Concilio Vaticano I potesse segnare un arretramento della libertà a favore di una Chiesa oltremodo centralizzata che reagisce al mondo moderno, piuttosto che lanciare una sfida spirituale. In vari modi, gli sviluppi dottrinali del Concilio Vaticano II, specialmente la Dichiarazione sulla libertà religiosa, vendicano le sue convinzioni morali e strategiche relative al ruolo della Chiesa nella società.
Nell'Inghilterra del tardo XIX secolo non c'erano particolari difensori dell'ideale puro della libertà religiosa: “La libertà consiste nella […] difesa di una sfera interna esente dal potere dello stato. La venerazione della coscienza è il germe di ogni libertà civile e il modo attraverso il quale il cristianesimo le attua”. Acton era convinto che la stessa libertà era sgorgata dalla distinzione (volutamente usava questo termine invece di separazione) tra Chiesa e stato .Non temeva affatto che la Chiesa perdesse la sua influenza sul mondo, rinunciando completamente al potere temporale. Al contrario, credeva che se la Chiesa avesse rinunciato a quei diritti, la sua influenza sarebbe cresciuta, dal momento che il suo richiamo si sarebbe liberato dai limiti di essere sospettata di ambiguità morale nell'utilizzo dei mezzi.
Sebbene l'ardore della battaglia sulla dichiarazione d'infallibilità del papa lo spinse in modo impulsivo ad affermazioni imprudenti sulle questioni ecclesiastiche, al punto da giungere molto vicino alla scomunica (era uno storico non un teologo), nei suoi severi giudizi sulle manchevolezze morali da parte di alcuni membri della Chiesa nel corso degli anni, c'era una sollecitudine che merita di essere difesa. In contrasto con la posizione ultramondana, sostenne che i responsabili religiosi della Chiesa avrebbero dovuto intraprendere un profondo esame sulla storia della Chiesa al fine di rigettare qualsiasi atto di violenza o di coercizione posto in essere in nome del cattolicesimo, particolarmente durante l'inquisizione. Era una sua convinzione che sulla Chiesa pendesse l'incombenza morale di parlare francamente dei suoi errori del passato, per questo motivo, quando Giovanni Paolo II ha offerto il suo fervente riconoscimento dei peccati commessi nel passato da alcuni membri della Chiesa, in questa sorta di "purificazione della memoria" è sembrato di ascoltare la voce di Acton che si elevava dal XIX secolo per parlare ai nostri giorni.
Similmente Acton credeva che lo stato dovesse fare a meno delle sue rivendicazioni sul terreno della coscienza, della vita privata e di tutte le sfere della società nelle quali regna l'autorità della religione e della fede. Il fallimento di tale prospettiva, egli affermava, spinge verso il basso l'etica della vita pubblica, poiché "il potere dispotico è sempre accompagnato dalla corruzione della moralità" . Invero, era convinto che un governo illimitato fosse un governo illegittimo e che nessuna forma particolare di governo rappresenti l'ideale, sebbene rifiutasse del tutto ogni forma di dispotismo e, in particolare, di socialismo. Constatò che monarchia, democrazia, federalismo e repubblica presentavano aspetti positivi ed inconvenienti. In definitiva, la fonte della libertà non è data dalla forma di governo, ma dall'amore per la libertà ed dal rispetto per la coscienza religiosa.
Un uomo per il nostro futuro
Come ha notato la Himmelfarb, siamo nel mezzo di una importante riscoperta, anche a livello internazionale, del pensiero di Acton. Il che potrà, dapprima, apparire sorprendente, se pensiamo che per decenni dopo la sua morte nel 1902, a eccezione della sua famosa citazione sulla corruzione e il potere, il suo pensiero venne ignorato o dimenticato dagli storici e dagli studiosi di storia delle religioni. Comunque, dal 1989 e dal collasso della pianificazione economica e sociale nell'Europa dell'est, l'importanza morale e pratica del liberalismo ha acquisito una nuova evidenza. La maturazione e il crescente vigore dell'economia di mercato hanno reso possibile una prosperità senza precedenti in tutto il mondo, mentre la marcia delle istituzioni democratiche seguita a fare passi avanti dappertutto, abbattendo sistemi autoritari in Asia e in America Latina e sostituendoli con forme di governo più pacifiche.
Nello stesso tempo, il mondo della politica e l'accademia hanno incominciato ad accettare l'inevitabilità della fede religiosa come forza propulsiva per importanti mutamenti culturali e politici. A differenza del periodo in cui il liberalismo classico nacque come teoria politica, tempo in cui era universalmente assunto che la fede religiosa fosse un anacronismo medioevale che sarebbe stato soppiantato dalla fede nella ragione e nella scienza, stiamo arrivando a comprendere che la religione è qualcosa di più di una moda o di un istinto primordiale che svanisce con il progresso sociale. Il desiderio di conoscere e amare Dio come il creatore della moralità e chiave epistemologica, per trovare il significato ultimo del vivere, è quasi un tratto distintivo della razza umana, e non può essere eliminato senza privare la persona dell'essenza più profonda. Nello stesso tempo, secondo l'opinione corrente questa fede si deve riconciliare con la ragione e la scienza, non presentandosi come avversaria del progresso sociale, ma guardando a se stessa come una risorsa per la verità che non teme l'incontro con ciò che di meglio i nostri giorni ci possono offrire.
Bisogna anche considerare che queste tendenze si verificano alla fine di un secolo in cui il sangue è stato fatto scorrere a fiumi dagli Stati, mentre, paradossalmente, si è diffusa con la libertà di mercato più prosperità che in qualsiasi altro periodo della storia umana. Non sbaglieremo notando, ancora, che i più mostruosi ed efferati omicidi sono stati compiuti dai governi non in nome della fede religiosa tradizionale ma in virtù di nuove ideologie politiche o di religioni "secolari" e artificiali, come il comunismo, il nazismo e il fascismo. Vittime di questi governi furono coloro che restarono fedeli alle loro fedi tradizionali: i cristiani per quel che riguarda il comunismo, gli ebrei per quanto attiene il nazismo. Quei regimi ostili alle tradizioni religiose sono stati per la libertà individuale più pericolosi dei più intolleranti governi teocratici del passato (che sono comunemente biasimati per il loro, ancorché blando, abuso dei diritti umani). Ancora, coloro che continuano a mettere in guardia da una libertà che sorga da convinzioni religiose dovrebbero ricordarsi dei pericoli di una convinzione religiosa che sorge dal fallimento nel mantenere la libertà come la priorità politica preminente.
La nostra speranza che queste enormi forze culturali emergano da un nuovo consenso internazionale, sia culturale sia politico, in cui dipendono l'una dall'altra, è più che giustificato. Tale nuova comprensione dovrà riconoscere che queste due grandi forze sociali devono riconciliarsi e integrarsi. Potremmo metterla in questo modo: abbiamo provato la libertà senza la fede e abbiamo visto che conduce all'anomia sociale e culturale; abbiamo provato la fede senza religione e abbiamo visto che essa crea fanatismo e corruzione; ciò per cui stiamo lottando oggi è un ordine sociale che sia consapevole della verità religiosa e allo stesso tempo abbracci i diritti dell'individuo, la produttività dell'economia libera, e il rispetto per le differenze individuali e di gruppo, il pluralismo di una società libera.
Ciascuno di questi temi era centrale ai tempi di Lord Acton. Dunque, non è impossibile capire perché in questo particolare momento ci sia una riscoperta dello storico inglese: egli fu lo storico della modernità e il teorico della religione e della libertà la cui vivificante prospettiva morale rinvigorì quanti erano stati resi perplessi dagli illuministi che vedevano un inconciliabile antagonismo fra fede e progresso, così come coloro che erano preoccupati dall'inevitabilità di una politica che fosse arbitro del potere. Per loro, per tutti noi, Acton contempla la possibilità di una nuova comprensione, di un nuovo modo di pensare, un nuovo inizio dove si concettualizza un ordine sociale in cui fede e libertà vivono un'esistenza armoniosa, dove ciascuna vigila sugli estremi dell'altra e nessuna delle due scende a compromessi sui propri principi e sulle proprie fondamenta filosofiche. Lord Acton diventa una fonte per comprendere come religione e libertà possano essere considerate entrambe i pilastri che danno vita alla fabbrica sociale. Per quanto le istanze del liberalismo e quelle della fede tradizionale possano essere in continua tensione e non siano mai definitivamente conciliabili sul terreno della prassi, il dovere morale che impegna i pensatori e gli statisti dei nostri tempi è di mettere da parte le ostilità per il bene della libertà e della religione e operare per il consenso che permetta loro di aiutarsi reciprocamente.
Non sbaglieremmo nell'affermare la potenza concettuale di queste idee, dopo un secolo in cui gli ammonimenti di Acton riguardo al potere e ai pericoli del relativismo hanno dimostrato di essere terribilmente attuali. Se anche Gertrude Himmelfarb è nel giusto dicendo che Acton è ancor meno un uomo dei nostri tempi che dei suoi, non deve mai affievolirsi la speranza che egli possa diventare un uomo del nostro futuro. Qual è del resto la più importante eredità che ci ha lasciato? Su tutto, l'amore per la libertà e il sapere, il rispetto per la vita e la coscienza individuale, la centralità del dovere nel compiere il bene morale e la convinzione che una società più è avanzata meno può essere tutelata da una sola istituzione, bensì occorre una molteplicità di realtà cui va lasciata la libertà di crescere e svilupparsi indipendentemente dalle manipolazioni e dalle corruzioni del Potere.
Nel saggio che probabilmente rappresenta il suo scritto più difficile, ma anche un esempio paradigmatico del suo pensiero profetico, scrisse agli studenti di Cambridge: «Il peso dell'opinione mi è contro quando vi esorto a non svilire mai le fondamenta morali e a non abbassare mai il livello della rettitudine, ma a giudicare gli altri con il precetto ultimo che governa le vostre vite e a non tollerare alcun uomo o causa per sottrarvi alla pena eterna che la storia ha il potere di infliggere sul male […]. Le opinioni si modificano, i modi cambiano, i credi nascono e muoiono, ma la legge morale è impressa sulle tavole dell'eternità”.
Frasi Celebri di Lord John Emerich Dalberg Acton
- Potere:
- Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in modo assoluto. I grandi uomini sono quasi sempre malvagi.
- Peccato:
- Errare è umano, dare la colpa a un altro ancora di più.
- Peccato:
- Se non saprai portare il tuo peccato, non è colpa del tuo peccato; se rinneghi il tuo peccato, non il tuo peccato è indegno di te, ma tu di lui.
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Data creazione biografia:
14 novembre 2005
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