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Biografia di Jean Jacques Rousseau

Filosofo - Pedagogista

Jean Jacques Rousseau

Scrittore e filosofo svizzero di lingua francese (Ginevra 1712 - Ermenonville, presso Senlis, 1778).

Discendente da famiglia ugonotta francese, emigrata a Ginevra nel 1550, rimase orfano della madre alla nascita, e perse presto il padre, quando questi, venuto in contrasto con un signorotto locale, lasciò qualche anno dopo Ginevra e fece giungere sempre più rade notizie di sé. Uno zio materno, che lo aveva sotto tutela, collocò il bambino appena decenne presso il pastore Lambercier: Rousseau scrisse più tardi di “ricordare senza disgusto” le ore di studio trascorse con lui. Due anni dopo il piccolo orfano, accusato di un malestro da lui in realtà non commesso, dovette lasciare la casa del pastore. Lo zio gli trovò allora un posto prima come aiuto scrivano di un cancelliere e poi come apprendista presso un incisore. Una sera del 1728, reduce da una lunga passeggiata in campagna, il giovane Rousseau trovò le porte di Ginevra già chiuse e, prevedendo le ire del padrone, approfittò dell'occasione offertagli dal caso e dette inizio alla sua vita errabonda. In Savoia trovò rifugio presso un prete cattolico, che rifocillò il giovinetto e lo indirizzò presso una neoconvertita di Annecy, Madame Eléonore de Warens, che divenne subito la sua ambigua protettrice. Da Annecy fu inviato in un istituto per catecumeni di Torino, dove poco dopo l'eretico sedicenne si sottopose senza troppa convinzione alla cerimonia dell'abiura (1728). Dimesso dall'istituto, fece la triste esperienza del mestiere di valletto presso case signorili e la interruppe bruscamente tornando ad Annecy (1729), dove Madame de Warens, amante e amica comprensiva, lo aiutò a proseguire negli studi di latino e di musica e tollerò con pazienza le sue brusche impennate e le sue fughe (a Lione, a Friburgo, a Ginevra, a Losanna, a Neuchâtel, a Berna, a Parigi). Tornato a piedi da Parigi (1732), Rousseau venne ospitato dalla Warens nella casa di campagna detta “Les Charmettes”, presso Chambéry. Fu questo l'unico periodo veramente felice della sua vita, allietato dall'amore devoto della cara “maman”, dalla natura circostante propizia alle passeggiate solitarie e dalla libertà feconda degli studi.

Ma al ritorno da un viaggio a Montpellier compiuto per motivi di salute (1740) Rousseau trovò occupato da un altro il suo posto di amante e dovette cercarsi un impiego e un nuovo modo di vita. Fu precettore a Lione (1740), copista di musica a Parigi (1741), segretario a Venezia (1743) del signore di Montaigu, ambasciatore del re di Francia. Ritornato a Parigi (1744) dopo un litigio con il diplomatico, Rousseau fece rappresentare con successo in una casa privata la sua opera lirica Le muse galanti(1745), divenne segretario di una dama del gran mondo e fu da questa presentato a Madame d'Epinay (1749). La protezione di quest'ultima gli schiuse le porte dei salotti alla moda, mentre l'amicizia di Diderot, su invito del quale scrisse alcune voci di argomento musicale per l'Enciclopedia, stimolò il suo pensiero alla meditazione filosofica. Nacque così la sua prima opera di vasta risonanza, il Discorso sulle scienze e le arti (1750), preparata per un concorso bandito dall'Accademia di Digione e solennemente premiata. Rousseau rinunciò tuttavia subito ai vantaggi del successo mondano (fra l'altro un suo intermezzo musicale, Le devin du village, era stato nel 1752 rappresentato nel teatro di corte). Non volle essere presentato al re, per non diventare uno stipendiato della Corona, lasciò il suo posto di segretario, prese alloggio in una soffitta e cercò di guadagnarsi la vita facendo il copista di musica. Alla rottura con il mondo elegante si accompagnò anche l'abbandono delle amicizie intellettualmente più stimolanti (con Diderot, con il barone d'Holbach, con Melchior Grimm, ecc.). Il suo disprezzo per la frivolezza degli intellettuali dominatori dei salotti e per le convenzioni del bel mondo si manifestò anche nella scelta di un abbigliamento volutamente bizzarro e trasandato e nell'ostentazione del suo legame con una lavandaia, Marie-Thérèse Levasseur, dalla quale ebbe cinque figli, tutti abbandonati all'ospizio dei trovatelli, se si deve prestar fede a quanto egli ha lasciato scritto nelle Confessioni Nel 1754, in occasione di un viaggio a Ginevra, riprese a professare pubblicamente la fede calvinista, dando anche a questo gesto il valore di un ritorno alle origini dopo gli sbandamenti della giovinezza. Il Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza fra gli uomini (1755), che rinnovò almeno in parte il successo di quello sul progresso delle scienze e delle arti, può essere considerato la premessa agli scritti fondamentali della maturità. Madame d'Epinay gli offrì il modo di vivere nella quiete tanto amata della campagna e di portare avanti in condizioni più favorevoli le sue meditazioni mettendo a sua disposizione l'Ermitage, un padiglione sito nel parco del castello della Chevrette, nella foresta di Montmorency. Ma dopo diciotto mesi l'amore impossibile di Rousseau per la contessa di Houdetot, cognata della sua protettrice, le impazienze della Levasseur e di sua madre, ambedue annoiate della vita campestre, le indiscrezioni di Diderot e di Grimm, quest'ultimo amante di Madame d'Epinay, unitamente all'irritabilità del filosofo, acuita dalle crisi ricorrenti di una malattia della vescica, provocarono la rottura dei rapporti con l'ospite (1757). Accolto in una casa di campagna non molto distante, appartenente al maresciallo di Lussemburgo, Rousseau portò a termine la Lettera a d'Alembert sugli spettacoli (1758) e attese in un momento di eccezionale felicità creativa alla composizione dei suoi tre capolavori: Giulia o La Nuova Eloisa (1761), Il contratto sociale (1762) e l'Emilio o Dell'educazione (1762). L'Emilio gli procurò le ire dei benpensanti e fu condannato dalle autorità civili e da quelle ecclesiastiche, sia a Parigi sia a Ginevra; per evitare l'arresto Rousseau si rifugiò in Svizzera, prima a Yverdun, nel cantone di Vaud, e poi a Môtiers-Travers, villaggio della contea di Neuchâtel, allora inclusa nei domini del re di Prussia. Qui, in una situazione di provvisoria sicurezza, scrisse alcune lettere in propria difesa, una contro l'arcivescovo di Parigi (Lettera a Christophe de Beaumont, 1763) e altre contro il Gran consiglio di Ginevra (Lettere dalla montagna, 1764) e contro Voltaire, al quale nel 1756 aveva già indirizzato la polemica Lettera sulla provvidenza. Snidato dal suo rifugio, dovunque malvisto e perseguitato Rousseau poté comunque trascorrere due mesi (1765) particolarmente piacevoli nell'isoletta di SaintPierre, in mezzo al lago di Bienne. Parve infine che il lungo peregrinare dovesse trovare la sua conclusione nella tranquilla ospitalità di Strasburgo, ma qui Rousseau fu raggiunto dall'invito di Hume a recarsi in Inghilterra (1766). Nonostante la discrezione e la tolleranza del grande filosofo inglese, Rousseau, ormai in preda alla mania di persecuzione, ruppe anche con lui e tornò in Francia (1767). Dapprima non osò fermarsi a Parigi, timoroso che il fuoco dell'ira covasse ancora sotto le ceneri. Solo nel 1770 vi rimise piede, prendendo alloggio in un modesto appartamento di rue Plâtrière (oggi rue J.-J. Rousseau), cercando di guadagnarsi la vita col vecchio mestiere di copista di musica (di musica aveva sempre continuato a interessarsi e nel 1767 aveva anche pubblicato un Dizionario musicale) e uscendo solo raramente per qualche passeggiata in campagna insieme col suo discepolo Bernardin de Saint-Pierre. Nel frattempo, fra due progetti di riforme politiche destinati alla Corsica (1765) e alla Polonia (1772), Rousseau aveva portato a termine le Confessioni, pubblicate nel 1782-1789, ma circolanti nel testo manoscritto già intorno al 1770. L'opera conteneva troppe indiscrezioni e allusioni imbarazzanti od offensive a personaggi ancora viventi. L'autore dovette affrontare, ormai vecchio e stanco, una nuova ondata di ostilità. Scrisse ancora due opere, che uscirono postume: i Tre dialoghi (Rousseau giudice di Jean-Jacques) [1789] e le Meditazioni del passeggiatore solitario (1782). L'appoggio di un ultimo protettore gli permise di tornare a vivere in campagna e di dedicarsi ai prediletti studi di botanica: accolto dal marchese de Girardin nel castello di Ermenonville (22 maggio 1778), Rousseau vi morì all'improvviso circa due mesi dopo e fu sepolto nel parco per suo espresso desiderio. Nel corso della Rivoluzione (1794) la salma fu trasferita nel Panthéon parigino.




È di Madame de Staël l'affermazione che Rousseau “non ha scoperto nulla, ma ha infiammato tutto”. Ma proprio nella vibrazione particolare del pensiero e della pagina sta in primo luogo l'originalità del filosofo ginevrino. In una società dominata dalla nuova aristocrazia dei filosofi e degli scienziati Rousseau, che fu un irregolare della cultura, non legato a nessuna scuola o accademia, rivendicò il primato dell'io come sentimento e spontaneità. La natura degli scienziati, freddo meccanismo di materia e movimento, non parla al cuore dell'uomo. Ma la natura vivente è un flusso che ferve e ribolle e si manifesta nell'uomo nella infallibilità dell'istinto e nella forza travolgente del sentimento. È la società con il suo mortificante intrico di convenienze e di leggi che rende l'uomo schiavo di bisogni e di obblighi artificiali, e perciò egoista e malvagio, inquieto e infelice. Questo rimpianto dell'originario e del primitivo, assai diffuso nella cultura del Settecento, diventa in Rousseau motivo dominante, insieme con la denuncia risentita dei guasti prodotti dalla ragione e dal cosiddetto progresso. Il rimedio che egli propone non è tuttavia quello semplicistico della distruzione della civiltà e del ritorno al mitico “stato di natura”. Rousseau vuole invece indicare il “dover essere” di quelle istituzioni fondamentali che, proprio perché radicalmente deviate rispetto alla loro forma naturale, portano anche la maggiore responsabilità della corruzione e dell'infelicità dell'uomo. Così nel Contratto sociale luoghi comuni della filosofia politica come “stato di natura” e “contratto” assumono un valore del tutto nuovo. La “volontà generale” è il fondamento della sovranità dello Stato; l'individuo si realizza nella pienezza della sua persona in quanto diviene cittadino; l'ingenuo e schietto “amore di sé”, che implica anche il sentimento naturale di essere in consonanza con la volontà generale, è proprio l'opposto dell'egoistico “amor proprio”, considerato da Voltaire e dai filosofi materialisti come il movente delle azioni umane. Lo stato secondo natura postula a sua volta un tipo di uomo educato anche secondo natura e capace perciò di vivere nella comunità con l'immediatezza della partecipazione spontanea. Ma l'educazione tradizionale conosce solo le strade che allontanano da questa meta, abituata com'è a considerare la natura come peccato e infermità della carne. Per lo scrittore dell'Emilio educare significa invece lasciar agire la natura e il miglior maestro è quello che non fa sentire la propria presenza e affida all'azione delle forze naturali il compito dell'ammaestramento e della correzione. Il fanciullo non è più il “piccolo pazzo” del razionalismo volteriano: ogni età ha la sua perfezione e il bambino deve vivere sciogliendo le briglie alle esuberanti energie della sua età fortunata, in attesa che la natura provveda, secondo tempi che non tollerano forzature, a trasformarlo in uomo. Così i motivi della libertà e dell'autonomia del fanciullo, già presenti in forme più attenuate e circoscritte nelle intuizioni di tanti educatori e filosofi, entravano attraverso la vigorosa mediazione di Rousseau nel patrimonio spirituale del mondo moderno.

Il Rousseau minore, musicista e scienziato, non contraddice la fondamentale ispirazione antintellettualistica del Rousseau maggiore. La sua riluttanza a studiare le regole dell'armonia e del contrappunto nasceva dall'ideale di una musica “naturale”, sgorgante dall'anima senza complicazioni di accordi. Analogamente, la passione per la botanica e il gusto di erborizzare si innestavano nel suo amore per la campagna, sentita come antitesi naturale della città viziosa e corruttrice. Nel Rousseau scrittore, infine, la soggezione alla natura si manifesta come abbandono all'onda della parola, che sgorga sovrabbondante e convulsa. Di qui l'accavallarsi delle effusioni e delle intuizioni improvvise e disordinate, tanto care agli scrittori romantici. Però il grande scrittore lo si ritrova altrove, sia in alcune pagine di rigore esemplare delle opere filosofiche maggiori, sia nella prosa calda, ma sorvegliata, di alcune lettere della Nuova Eloisa, di molti episodi delle Confessioni e di pagine indimenticabili delle Meditazioni del passeggiatore solitario.

Frasi Celebri di Jean Jacques Rousseau

Verità/Menzogne:
Il falso è suscettibile d'una infinità di combinazioni, ma la verità ha solo un modo d'essere.
Felicità/Infelicità:
La felicità: un bel conto in banca, un bravo cuoco e una buona digestione.
Bontà/Malvagità:
La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce.

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Data creazione biografia: 30 ottobre 2005
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